mercoledì 16 aprile 2014

3

Sollevò la scure e la calò con violenza sul corpo a terra percorso da mille fremiti e convulsioni.
La mano fredda della morte colpì un corpo che aveva già perso l’anima, che era in grado solo di urlare e piangere e pregare.
La ragazza sdraiata sul pavimento si era rivolta a quegli occhi furiosi che lo sovrastavano cercando pietà e gridando e farfugliando frasi senza senso. E la speranza, quella folle di chi non ha nulla da perdere, non l’abbandonò neanche quando la lama insanguinata le lambì la gola e penetrò la sua carne morbida.
Negli occhi dell’uomo c’erano le rocce carbonizzate e fumanti dell’inferno, il fuoco sacro dell’odio, il ghiaccio tetro della solitudine. Nella sua mano la decisione, nessuna paura e zero esitazioni.
Aveva il viso sporco di sangue, e così le mani e tutti i vestiti, ma in quel momento fu vivo e si sentì completo.
L’uomo cadde in ginocchio a fianco alla sua vittima ed incrociò le mani possenti rivolte verso il cielo. Abbassò lo sguardo e pregò Dio.
Non appena ebbe finito aprì il suo diario e ci pianse sopra, e pianse con gli occhi e con la penna e bagnò la pagina di lacrime e sangue e sporco, poetico inchiostro.
Lentamente i suoi occhi tornarono a vedere il mondo per come era in realtà e la furia, l’odio e la paura divennero consapevolezza e il fuoco che aveva dentro si spense in un’immensa tristezza.
La penna continuava a marcare il foglio come se fosse stata fatata mentre il carnefice soffocava tra lacrime e sangue, come ogni volta che aveva aperto quelle pagine maledette per narrare le sue opere maledette, per spiegarle, per liberarsi da esse.
Non appena chiuse il diario si sentì sfinito e sentì di non provare niente: nessun sentimento, nessuna emozione. Aveva solo fame.
Mangiò.

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