giovedì 24 aprile 2014

7

Una notte piovosa, di quella pioggia fina che è allo stesso tempo violenta e leggiadra e sembra quasi essere pudica, e leggera, per non disturbare. La pioggia che punge e dà i brividi. La pioggia che ti confonde la vista.
C’erano lui, la notte, la pioggia e i lunghi binari di una ferrovia: freddi e di metallo, con quelle assicelle di legno fradicie di pioggia, marcite dal tempo, invecchiate e supplicanti aiuto.
Oltre i binari, nel punto sconosciuto in cui quelli finivano, soltanto il cielo nero illuminato da un lampo, due lampi, tre lampi. Oltre i binari soltanto Dio e la sua immensità, la sua furia, la sua ira inarrivabile, la sua follia risoluta e terribile. Oltre quei binari mille visioni ed un solo, desolato paesaggio. Un solo cielo nero d’odio, nero di notte, nero squarciato di luce. E quella luce era così intensa nell’attimo in cui esisteva da illuminare tutto il mondo e far sembrare tutto ancora più oscuro nel momento in cui spariva, inesorabilmente. Ed era una luce viva.
L’aria era fredda e i suoi vestiti gli stavano appiccicati addosso, completamente bagnati come erano. Lui stava seduto al centro delle rotaie, a fissare quel macabro quadro romantico, a gambe incrociate mentre mormorava la sua preghiera più importante.
Vedeva lungo quelle rotaie la vita che avrebbe vissuto e la strada che avrebbe percorso, dritta e apparentemente infinita, proprio come quella rotaia.
Due fischi nel cielo e lo stridere sordo del metallo sul binario, quindi la furia del treno, insensibile ed inarrestabile come quel Dio oggetto di mille preghiere. Correva in direzione dell’uomo che restava seduto impassibile, come se potesse fermare la corsa del treno o non gli interessassero le conseguenze dello scontro. Magari era solo troppo pigro o distratto, ma qualunque fosse la realtà, restava fisso a guardare avanti, apparentemente senza paura. La pioggia continuava a cadere violenta e a bagnarlo senza alcuna pietà.
Ormai poteva vedere il muso del treno accorgendosi dei minimi particolari, di ogni piccolo sportello, e quando era sempre più vicino, di ogni adesivo, quasi ogni piccola saldatura.
E a dire il vero fu attanagliato dal terrore mentre continuava impassibile a guardare il treno. E passarono secondi interminabili mentre il treno compiva la sua strada, percorreva ciò per cui era stato creato. L’uomo rimase immobile sino all’ultimo, in preda al panico ma allo stesso tempo impaziente di scoprire il grande dolore, la grande liberazione.
Non fu che un tonfo vuoto, quindi il vuoto che tutto divora. Il buio spettrale della morte.
Si svegliò di soprassalto nel suo letto, sudato e con il cuore che gli batteva troppo forte. E quel letto era davvero troppo grande per starci da solo.
Non sapeva se essere felice o meno del fatto che tutto fosse un sogno. Sarebbe stata una morte romantica, come lui.

Nessun commento:

Posta un commento