lunedì 16 giugno 2014

22

Sputò sul corpo esanime, gridando l’ultimo respiro della sua rabbia.
Quindi si lasciò cadere, esausto. Incapace persino di pensare.
Il cadavere coperto di sangue sembrava chiedergli di essere il suo giaciglio, duro e spigoloso.
E in quei momenti le coltellate con le quali gli aveva squarciato il petto non dimoravano  già più nella sua memoria.
Come se fosse una storia di cent’anni prima.
Quasi come se non fosse mai esistita tale storia.
Solo quel corpo a terra, di fianco a lui, lo riportava alla realtà.
Almeno in parte, per quanto fosse capace di vivere la realtà.
Era il segno tangibile che qualcosa fosse accaduto: là dove la testa si rifiutava di arrivare, ci arrivava la carne morta di quell’uomo a terra.
E doveva essere passato davvero poco da quando aveva massacrato quel tizio, eppure già sentiva il bisogno inarrestabile di farlo ancora.
Come se si potesse paragonare il suo bisogno di uccidere alla necessità di creare di un artista.
Certo è una somiglianza ardua da comprendere, non è per tutti.
Qualcosa che possono capire in pochi.
Lui si sentiva un artista. Amava fare quello che faceva e lo faceva con lo stomaco.
Sentiva la necessità di creare e distruggere: scriveva e dipingeva avendo in bocca il sapore del sangue, le dita sporche di sangue, il cuore annerito dal sangue.
Un artista tanto alto nel suo animo e un assassino crudele e volgare. Le due facce, l’una aliena all’altra, della splendida e maledetta luna. 
Dormì per ore su quel corpo, a fianco a quel corpo, insabbiando nel sonno i suoi demoni, più che mai conscio che appena sveglio quei mostri sarebbero tornati più cattivi di prima, immemori del sangue versato.
E ora stava riposando, si stava godendo la distruzione e la perpetrava. Tutto era solo distruggere e creare.
Ma non era tanto bravo a creare.
Amava il mondo e lo odiava profondamente.
Se esprimeva la sua arte lo faceva per migliorarlo, quello stesso mondo che distruggeva quotidianamente.
O forse anche sfogando quella rabbia cercava di proteggere la sua tana.
O ancora il mondo non c’entrava niente, c’erano solo lui e i suoi istinti.
Dio non si interessa  delle sue creature.
Dio non è benevolo e Dio non è malvagio: costruisce e disfa solo perché ne ha voglia.

6 commenti:

  1. Dio non si interessa delle sue creature.
    Dio non è benevolo e Dio non è malvagio: costruisce e disfa solo perché ne ha voglia.
    Su questa immancabile inamovibile bellissima ammissione ci avrei costruito tutto il racconto. :-))

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    1. Grazie.
      Sarebbe un ottimo spunto, hai ragione: come l'ho lasciato rende il finale un po' inquietante, però forse sarebbe stato bene anche approfondirlo un po' di più. :)

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  2. Accidenti Marco, qui oltre l'equilibrio manca anche altro.
    Ma cosa gli è successo al tuo personaggio per essere tanto arrabbiato?

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    1. :D
      Credo sia davvero arrabbiato e troppo sensibile: impotente di fronte a troppe piccole e grandi cose che lo hanno fatto scoppiare.
      Lui vorrebbe amare tutto quello che lo circonda con tutte le forze che ha in corpo, ma ogni disillusione lo massacra, ed esce fuori l'altra faccia di quella sensibilità e di quell'amore:
      è molto confuso perchè non trova soluzioni, tutto qui. :)

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    2. Lo so che è la tua storia e lui il tuo personaggio, ma potrei parlargli un po? In genere mi riesce di lasciarmi comprendere in questo mio vivere con gioia e, chissà, magari riuscirei a convincerlo a seguirmi a rincorrere le fila fila e scoprire un po' di quel mistero che l'incanto della vita.

      Dillo ora, sono scocciante!!! :D

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    3. No, non sei scocciante, tutt'altro.
      Penso di avere anche personaggi solari e sereni ( anche se non me ne viene in mente neanche uno :D).
      Lui in fondo si trascina appresso tante speranze e tanti sogni, solo che non riesce a gestirli.

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