lunedì 12 maggio 2014

12

Sorseggiò il suo succo di frutta lentamente, perché non aveva nulla da fare, null’altro per lo meno.
Quindi se lo gustava lentamente, assaporando il settantacinque per cento di frutta più arancione che avesse mai assaggiato.
Ci stava facendo caso in quel preciso istante: i succhi di frutta, alla mela o alla pesca, all’arancia o alla pera, sono sempre arancioni.
Di certo troppo arancioni per essere davvero fatti per il settantacinque per cento di frutta.
E mentre se lo gustava pensava a quali schifezze sintetiche ci fossero dentro per farlo diventare tanto arancione.
Eppure era buono.
Sapeva di frutta, quindi non poteva essere così male. Quella era la sua marca preferita.
Sentiva di potersi fidare perché erano trentacinque anni che comperava solo quella marca e non aveva mai avuto neanche il più piccolo sentore del fatto che quei fantastici succhi arancione potessero far male.
Si fidava di quella cazzo di marca di succhi di frutta.
Rise nervoso.
Il bicchiere ormai era mezzo vuoto e la poltrona narcotica stava cominciando a fare effetto.
Prese una freccetta  dal comodino alla sua destra, una di quelle freccette colorate e con la punta di ferro: mirò e respirò a fondo.
Il suono secco del bersaglio colpito, da gustare come il succo.
Ne prese un’altra e ancora respirò a fondo.
Stesso suono secco, stessa esultanza appena accennata con gli occhi.
Aveva trovato quel gioco di quando era bambino, e quella sera non aveva niente di meglio da fare, ora che anche il succo di frutta era quasi finito.
Aveva trovato solo tre freccette, e di quelle gliene rimaneva soltanto una sul comodino alla sua destra, mentre le altre due erano conficcate al centro del bersaglio.
Quell’ultimo lancio avrebbe dovuto farlo durare il più possibile.
Sorrise: sembrava una serata all’insegna della lotta contro il tempo, solo al contrario.
A rallentare tutto, come avrebbe fatto un amante in vena di divertirsi per tutta la notte.
Certo non poteva dire che il suo divertimento fosse dello stesso tipo, ma davvero non riusciva a trovare niente altro da fare per passare il resto della serata.
Prese il bicchiere e bevve il succo restante, stavolta d’un fiato, con un gesto teatrale. Scrollò leggermente la testa per cercare di svegliarsi un po’ ed assaggiare al massimo tutta la noia della nottata.
E quello della noia era un sapore vero al cento per cento, senza aggiunta di coloranti o conservanti, fatta soltanto di ingredienti assolutamente naturali.
Eppure sentiva che quella noia non potesse fargli troppo male. Forse gli dava modo di rilassarsi un po’.
Posò il bicchiere ormai vuoto e agguantò l’ultima freccetta. Stavolta il respiro fu più profondo. Alzò la testa a guardare il soffitto pitturato da poco, blu elettrico come tutte le altre pareti.
Cercò di essere il più convincente possibile e si rivolse al bersaglio: “ al dodicesimo rintocco del campanile, bastardo, e allora ti riempirò di piombo.” Scoppiò a ridere e tirò.
Ancora quel suono secco e appena percettibile, e stavolta esultò più enfaticamente, alzando le braccia al cielo. E più che al cielo aveva alzato le braccia a quello pseudo-cielo senza nuvole che era il suo soffitto.
Chiuse gli occhi e si rilassò completamente, poggiando la schiena alla poltrona. Ormai un altro giorno si andava spegnendo.
Si girò verso sinistra con lo sguardo: una giovane donna col cranio fracassato e la camicia zuppa di sangue giaceva sull’altra poltrona.
Aveva un occhio chiuso e uno aperto.
La guardò, ci pensò su e la riguardò: “se vuoi giocare anche tu, stacca le freccette da sola, mica posso fare tutto io. E quando hai finito rimettile a posto che abbiamo solo quelle tre. Il succo è in cucina, sul tavolo.”
Dalla bocca morta le colava addosso sangue e vomito.
Lui esplose in una diabolica risata.

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