domenica 25 maggio 2014

16

Si ritrovò a cacciare. Senza aver previsto nulla, senza essersi preparato. 
Si lasciò prendere dalla voglia e dall’istinto, così come dovrebbe fare un amante focoso.
Gli stava dietro, gli stava addosso.
E sentiva l’adrenalina scorrergli dentro ed avvelenarlo.
Se quello svoltava, lui lo seguiva.
Sapeva di non dovere farsi scoprire, ed era eccitato e fremeva.
Un felino che doveva contare sulla sua pazienza e non solo sulla forza e la velocità.
Doveva attendere il momento migliore e intanto mimetizzarsi nel grigiore serale della città, per colpire solo quando la preda non avesse avuto una possibilità di sfuggirgli. Rapido, potente, paziente e meticoloso come un grande predatore.
La pioggia incessante bagnava l’asfalto e tirava fuori tutti gli odori della strada. Era l’odore dei gatti randagi e della carta bagnata. L’odore di cacca di cane misto a quello del sudore di centinaia di persone.
E lo smog, tutto era intriso di fumi e gas. 
Gli odori erano smorzati dall’anidride carbonica, i colori resi opachi da nebbie artificiali e malsane.
Il verme era braccato e ancora non se ne era accorto, tanto era stolto. Gli stava addosso, non aveva scampo, ma lui continuava a  giocare col suo telefonino.
Era già morto perché troppo legato alla stupida vita che gli avevano imposto.
E passarono altri dieci minuti di inseguimento, poi non appena il predatore seppe di non potere più sbagliare, non appena fu sicuro che il suo attacco non sarebbe fallito, allora il felino tirò fuori gli artigli e scattò.
Tutti gli odori che aveva sentito vennero cancellati da quello forte e dolciastro del sangue, ogni colore reso opaco dall’immagine di quel rosso brillante ed intenso.
E la bestia placò la sua fame. 
Flagellò la sua preda con tante coltellate da non potere contarle.

La città inghiottì tutto. 
Rimase solo un uomo squartato, sull’asfalto dai mille nauseabondi odori.

Nessun commento:

Posta un commento